giovedì 18 giugno 2015

Capitolo 61

**Ultimo capitolo.
Grazie di aver letto.
Aly**

Edward Pov.

-Bella? Bella mi stai ascoltando? – stavo parlando da dieci minuti abbondanti, mi aveva chiesto di raccontarle la mia giornata e felice di potermi sfogare con qualcuno, avevo iniziato a macchinetta. Eppure lei era distratta, da quando avevamo preso posto attorno all’isola fissava un punto sul tavolo, sbocconcellando qui e là la quiche nel suo piatto, senza neppure arrivare a metà, quando io avevo già terminato. Non ero sicuro che stesse ascoltando le mie parole, nonostante mi sentissi disorientato e offeso dal suo comportamento capivo che c’era qualcosa di strano.
Non mi convinceva per nulla, era come se fosse preoccupata di qualcosa, anche se l’espressione del suo viso non sembrava angustiata bensì serena. Non sapevo che fare, non volevo insistere per sapere quali pensieri le vorticavano in testa, già avevo un altro tarlo con cui insistere.

Non voleva sposarmi e non riuscivo ad accettarlo.
Io desideravo lei, ero certo che il mio futuro sarebbe stato con lei, non mi interessava dove o come, né quando sinceramente. Volevo tenermela stretta, non farla scappare, legarla a me con qualcosa di forte. Ero pronto a chiederglielo ogni giorno della mia vita fino a che si fosse decisa. Volevo fare qualcosa di bello, romantico, dolce; un momento da condividere e ricordare per sempre; farle una proposta seria che avrebbe raccontato alle amiche, ai figli, ai nipoti in un futuro. Volevo vedere i suoi occhi brillare e luccicare grazie all’emozione e alle lacrime, non volevo che fosse una proposta sciatta e piatta sul letto di casa mia, prima di addormentarci. Nonostante insistessi giorno dopo giorno, sapevo di dover fare di più. Ma l’incertezza della sua risposta mi lasciava in bilico, avrei voluto avere un segnale che lei dicesse sì, che volesse sposarmi; invece in tutti questi giorni non mi aveva fatto capire nulla ed io brancolavo nel buio. Avevo paura, ho paura che possa dirmi di no, che la serata che potrei ricordare per la vita si trasformi in una disfatta completa. Posso offrirle tutto ciò che avevo, le mie promesse, i miei sogni, le mie braccia calde e la mia spalla su cui appoggiarsi, posso darle speranze e sostegno. Quello che non le avrei mai fatto mancare era amore, di quello ne ero pieno, il cuore era così pieno che esondava. Eppure lei ancora non aveva detto “sì”.
Avevo già chiamato mia madre per un aiuto, ero deciso ormai a prendere del tempo per fare le cose come andavano fatte, avevo bisogno di un posto romantico, significativo, che avrebbe ricordato sempre con il sorriso. Avevo bisogno di candele profumate, di fiori colorati, di un ottimo champagne da stappare dopo aver sentito quella sillaba fantastica. Avevo bisogno di tirare fuori quella scatolina di velluto che se ne stava dentro il comò sotto le mie magliette e forse allora mi avrebbe fatto felice.

Stavo per chiederle cosa diavolo c’era che non andava quella sera, quando la sua voce mi spiazzò.

-Sposiamoci!

Non potevo crederci.
L’aveva detto davvero o l’avevo solo immaginato?

-C… Cosa? – scoppia a ridere scuotendo la testa e, alzandosi in piedi, mi raggiunge appoggiando una mano sul mio braccio, impietrito come il resto del corpo.
-Hai continuato a chiedermelo ogni giorno per diciannove giorni ed ora, che sono io a chiedertelo reagisci così? – la fisso negli occhi, non è reale!
-Sei seria? – la mia faccia deve far ridere perché è quello che fa e che continua a fare per minuti interminabili.
-Sì che sono seria! Sposami! – mi dice con le guance arrossate.

Oh, grazie Dio!
La mia mano si intreccia alla sua e la tiro più vicino a me, trova posto con il corpo tra le mie gambe, l’altra mano ancora sul mio braccio e la testa reclinata un po’ di lato. La osservo nel dettaglio. Gli occhi sono sempre meravigliosi e anche un po’ lucidi, profondi, bellissimi. I capelli sciolti che amo emanano profumo di fragola, la sua pelle lucida è così delicata, e le sue labbra sono piene e pronte per me.
-Allora, mi sposi? – mi chiede quando ancora non apro bocca. Deve essere impazzita, o forse sono io che ho sbattuto la testa durante il tragitto di ritorno dall’ospedale e non me lo ricordo. La guardo confuso e lei ridacchia. Mi sveglio dal mio stato catatonico grazie a quel suono e cerco di prendere in mano la situazione, in qualche modo.
-Oh no, si farà a modo mio piccola! Mi hai lasciato in sospeso per tutti questi giorni, ridendo di me e prendendomi in giro. Hai fatto in modo che la mia testa esplodesse a forza di pensare e pensare a qualcosa di carino per farti dire di sì. Ed ora ti aspetti che io risponda su due piedi, quando dovresti essere tu a farlo?
-Ma l’ho fatto. La mia domanda non era forse una risposta alla tua richiesta?
-NO! – sbotto irritato e divertito, lei ridacchia apparendo ancora più bella. La sua risatina mi fa sciogliere. E’ così tenera ma allo stesso tempo sexy che mi viene voglia di farle di tutto.
-Il tuo orgoglio di maschio è ferito, non è vero?
-Si, dilaniato! – faccio il broncio a cui so non è capace di resistere e lei sorride, baciandomi il naso.
-Puoi fare a modo tuo, se credi! – l’angolo della bocca sale e il mio volto si accende in un sorriso.
-Ti amo, quanto ti amo! – l’abbraccio stretta e affondo il volto nell’incavo del suo collo. La sua pelle profuma e l’odore dei suoi capelli si mischia a quello del bagnoschiuma rendendo l’aroma strano e speziato. E’ il suo profumo, meraviglioso.
-Ti amo anche io Edward! – lentamente mi stacco da lei guardandola negli occhi; è serena e allegra ed io sento il petto che si stringe mentre il cuore si allarga più che può. E’ meravigliosa questa sensazione, perché so che è il momento, che questa cosa ci cambierà la vita, perché sono convinto di fare questo passo e lo è anche lei e nulla potrà cambiare le cose questa volta. Le nostre dita restano ancora intrecciate, la mia mano sulla sua schiena mentre l’accarezzo dolcemente e lei compie dei movimenti lenti sulla mia spalla, i nostri occhi sono ancora incatenati. Le racconto semplicemente le immagini che sono dentro la mia testa, sicuro che apprezzerà.
-Voglio passare il resto della mia vita con te. Voglio una casa, un porto sicuro dove tornare, avere la sicurezza di averti al mio fianco sempre, poter contare su di te, sapere di essere la tua roccia. Voglio guardare i miei figli e sorridere, essere felice perché saranno il sangue del nostro sangue. Somiglieranno a te o a me, non importa, quando li guarderò non potrò fare a meno di amarli perché tu sarai la loro madre e io sarò il loro padre e creeremo una famiglia stupenda. Ed io sarò orgoglioso e cercherò di essere un bravo papà, sempre. E desidero che tu sia orgogliosa di me. Voglio programmare le vacanze, viaggiare con te al mio fianco, aiutarti mentre cucini, litigare delle piccole cose quotidiane. Voglio trovare le mie cose nei tuoi cassetti o vederti indossare le mie magliette, voglio vederti a piedi scalzi girare par casa mentre mi fai impazzire con le tue gambe nude. Voglio viverti, per sempre. Perché ti amo infinitamente. Bella, mi vuoi sposare?

Appoggia la fronte sulla mia, sorridendo, mentre una lacrima sfugge al suo controllo e scivola giù, lungo la guancia.
-Si Edward, voglio sposarti!

-Era ora! – mormoro mentre le mie labbra si avvicinano alle sue, come se avessero un magnete: si attirano, si incontrano e le scintille illuminano la stanza. Potrei morirci su queste labbra. Trovo la sua lingua che, intraprendente come la mia, cercava di avvicinarsi a me. Ci gioco, perché il sapore della sua bocca è unico e quando si mischia al mio ancora di più. L’avvicino di più, il suo corpo aderisce perfettamente al mio come se fossero creati per stare insieme e quasi ci credo a questo segno del destino. Rilascio l’intreccio delle nostre dita per poter toccare tutta la pelle che posso attraverso la stoffa del vestito.

“Ti amo” le mormoro tra i baci. Ottengo la stessa risposta. Ripetiamo le stesse paroline più volte, mentre ci spostiamo in camera da letto, guidati da non so quale mano invisibile.
-Ho una sorpresa per te. – mi dice mentre mi morde il collo e le sue mani mi spogliano.
-Quale?
-Spogliami e la scoprirai! – le parole che aspettavo. Sono fortunato, perché sono dannatamente curioso e il suo vestito mi rende il lavoro più veloce. Basta afferrarlo da sotto e tirarlo via dalla testa e resto ammaliato.
Un completino bluette di seta leggerissima la fascia meravigliosamente. Sono tentato di strapparlo a morsi ma mi trattengo, voglio che possa indossarlo ancora.
-Il tuo piano era farmi soffrire stasera, vero?
-In effetti si, ci avevo pensato! Volevo farti impazzire come tu hai fatto con me… - le mordo la gola piano, senza farle male, i gemiti mi riempiono le orecchie.
-Come avrei fatto io?
-Si, tu, proprio tu… con quel “Sposami” ogni giorno. Anche a colazione quando non c’eri! Mi trovavo bigliettini ovunque, messaggi, sei stato insistente. – ridacchio mentre le slaccio il reggiseno da dietro la schiena.
-Alla fine ha funzionato, non credi?
La mia camicia è finita a terra, mentre le sua mani accarezzano il mio petto scendendo verso la cintura dei jeans, non vedo l’ora che anche quelli spariscano.
-In effetti ti ho detto di si perché stavi diventando assillante! – mi dice a fatica, mentre sono con la bocca sul suo seno. E’ perfetto per le mie mani, mi piace, lo adoro. Amo leccare la sua pelle, giocare con i suoi capezzoli, mordicchiarli fino a farla gemere forte.
-Ritira quello che hai detto! – le dico mentre la mordo più forte!
-Ma se è la verità!
-Non lo è! Ritira ho detto! – le do una sculacciata leggera sul sedere ridacchiando. Amo giocare con lei soprattutto quando non si tira indietro, quando mi permette di farle tutto quello che voglio, quando si sente libera di fare quello che desidera. Mi alza la testa dal suo petto tirandomi i capelli, ogni tanto la amo anche violenta!
-Mi hai appena sculacciata? – gli occhi sono sgranati e le guance rosse.
-No, ritira quello che hai detto!
-Tu mi hai sculacciata Edward! E non ritiro quello che ho detto, sei stato assillante!
-Ti amo, ritira quello che hai detto, se non lo fai ti sculaccio un’altra volta! – ridacchia e scuote la testa.
-Mi sento tanto una bambina!
-Oh, ma lo sei! Soprattutto quando fai la cattiva come adesso… - si mette a ridere, gettando la testa all’indietro e mi perdo ad osservarla. E’ così bella, semplice, perfetta. Ringrazio ogni santo del Paradiso per averla incrociata nel mio cammino, d’ora in avanti farò qualsiasi cosa per tenermela stretta e non farla scappare via.
-Ti amo Edward, e ti ho detto sì perché voglio sposarti e voglio vivere insieme e avere dei bambini e sentirmi chiamare “Signora Cullen!” – sorrido baciandola e stringendola a me.


---- ---- ----


Sono rimasto sveglio per buona parte della notte a guardarla dormire, i capelli sparsi sul cuscino, una mano sulla pancia e l’altra sul cuscino intrecciata con la mia. Il lenzuolo che la copre fin sopra il seno, per paura che possa prendere freddo, una gamba piegata e l’altra stesa. Non so cosa ho fatto di buono nella vita per avere una donna così nel mio letto, in casa mia, che ha accettato di sposarmi. Ma di una cosa sono sicuro, ogni giorno della mia vita lo passerò a renderla orgogliosa di me, a non farle mai mancare i miei sorrisi, i miei abbracci e il mio amore.
Libero le dita dall’intreccio con le sue e mi alzo, silenziosamente attraverso la camera fino a recuperare nel comò quella benedetta scatolina. Me la rigiro tra le mani, indeciso se svegliarla per mostrarle il mio impegno o lasciarla a portata di mano per il risveglio di domattina. Il suo mugugnare e il fruscio delle lenzuola mi fa girare lentamente.
-Ehi, che fai lì? Torna a letto. – si solleva sui gomiti per guardarmi, la debole luce che entra dalla finestra la rende bellissima, e il seno che si intravede sotto il lenzuolo mi rende voglioso. –Edward, sono le cinque e mezzo del mattino! Che diavolo ci fai sveglio? – Perso nell’osservare la donna al mio fianco non avevo dormito, non avevo sonno, mi sentivo euforico, emozionato, innamorato ancora di più.
-Dovevo prendere una cosa. – dico tornando a letto e nascondendo il piccolo oggetto dietro la schiena.
-Adesso? Cosa ti serviva così urgentemente? Stai male? – si mette seduta e porta le braccia verso di me, come per verificare che sto bene, il lenzuolo le cade, drappeggiandosi attorno ai fianchi e denudando il busto.
-Sei bellissima, Bella. – incantato con lo sguardo sulla sua pelle mi metto in ginocchio sul letto, sedendomi sui talloni e mi schiarisco la voce. –Avevo bisogno di questo… - dico a voce bassa mostrandole, sul palmo della mano, la scatoletta. I suoi occhi si inumidiscono e si porta una mano alle labbra cercando di trattenere un singhiozzo. –Avevo bisogno di rendere tutto ufficiale, di occupare il mio posto nella tua vita, materialmente. Di dichiarare a tutti che ti amo e che voglio che diventi mia moglie. Avevo il bisogno di farti sapere che ho intenzione di viziarti, coccolarti e ricordarti che tu, solo tu, hai il mio cuore. E mi serviva urgentemente Bella… perché volevo che sul tuo corpo, oltre alle cicatrici passate, ci fosse qualcosa che ti ricordasse che quello che abbiamo ora, sarà per sempre.
-Oddio Edward! – sento solo le sue braccia attorno al collo, il suo esile corpicino premuto contro il mio e le lacrime bagnarmi la spalla. Non l’ho vista muoversi. Mentre mi stringe forte e le mie braccia si chiudono attorno alla sua schiena, abbracciandola così forte da farle diventare la pelle rossa, mi accorgo che anche i miei occhi sono lucidi e che le mie mani tremano. –Ti amo Edward. Ti amo! – si sposta per guardarmi negli occhi e lasciarmi un bacio dolce sulle labbra, il salato delle sue lacrime fa scendere le mie. –Sei un uomo meraviglioso. Sarai un marito eccezionale e un padre strabiliante. – Estraggo dalla scatolina l’anello, con le mani ancora tremolanti prendo la sua mano sinistra e faccio scivolare l’oro bianco sul suo dito, portandomelo alle labbra e mormorando poche parole, prima di prenderla in grembo e affondare dentro di lei.

-Ti amo Bella, per sempre.

Capitolo 60

Bella Pov.

Quando sono salita sull’aereo che da New York mi avrebbe portato a Londra stringevo tra le mani la chiave di casa di Edward, ero indecisa se utilizzarla o meno. Mi ero fatta un programmino nella mia testa che nemmeno Einstein! Avevo chiamato James appena avevo prenotato il volo, il quale con molta grazia mi aveva risposto “Era ora donna! Al tuo uomo sarebbero venuti i calli alle mani se aspettavi ancora un po’!”
Le guance, come al solito, si erano arrossate, ma avevo saputo rispondere a tono scatenando infinite risate.

“Non ti preoccupare Bella, mi farò trovare fuori dall’aeroporto, a patto che tu mi faccia assistere alla scena di lui che apre la porta!”

Non me l’ero sentita di dirgli di no, anche perché mi avrebbe dato un grosso aiuto ed era il minimo che potessi fare. Quando ho suonato al suo appartamento ero elettrizzata, non vedevo l’ora di farmi abbracciare e di stringerlo a me. Quando ha aperto la porta invece era pietrificato, pareva che l’effetto “sorpresa” l’avesse immobilizzato. Ripensando alla sua faccia mentre si rendeva conto che ero io, ed ero reale, mi viene da ridere.
Rido meno, invece, se penso a cosa ha detto quella sera nel letto.

“Sposiamoci!”

Ho alzato la testa di scatto in quel momento e l’ho guardato come se avesse la faccia di un mostro, ero terrorizzata. Non poteva uscirsene con una cosa del genere, era troppo presto.
Ma lui aveva elencato tutti i suoi motivi, validi e profondi, e aveva messo in chiaro che non voleva sposarsi ora, domani o il mese prossimo ma desiderava sposarsi, comprare casa e avere dei bambini. Il mio cuore era esploso, non c’era neppure un piccolo brandello all’interno di me che potesse battere e pompare sangue nelle vene. Ero paralizzata, fredda, immobile. Ha continuato a parlare per un tempo infinito, non so neppure quanto è passato davvero, so solo che non ho seguito tutto il suo discorso perché ero fuori dal mondo. Mi ha detto “Pensaci per favore” ed ha lasciato cadere il discorso, ferito dal mio comportamento.
Non è che non voglia sposarmi, certo che nella mia testa penso e viaggio con la fantasia, solo che non pensavo che anche lui lo facesse e con questi risvolti. Pensavo che volesse cercarsi un buon lavoro, magari l’avrei convinto a frequentare qualche specializzazione, a mettere più solidità nelle fondamenta della sua vita, che ne so! Anche io sognavo ma non a questi livelli.
Matrimonio.
Volevo davvero sposarmi?
Ho dormito male quella notte e la mattina mi sono svegliata più rincoglionita del giorno precedente. Edward mi aveva lasciata dormire, perché mi aveva vista davvero stanca la sera prima, lui era andato a lavorare e in cucina c’erano due brioche ed il caffè solo da azionare, un biglietto che diceva: “Buongiorno piccola, ci vediamo stasera, ti amo!” con un cuore storto in cui all’interno c’era una E.
Era maledettamente dolce.
Quel pomeriggio quando era tornato a casa la cucina e l’appartamento profumavano di pulito, sul fuoco c’era già la nostra cena e in forno un dolce leggero con delle pesche che avevo trovato sul porta frutta.
Avevamo trascorso giorni meravigliosi. Lui andava al lavoro ogni mattina, cercava di tornare a casa appena finito il turno se non incombevano emergenze, riusciva a procurare sempre un fiore da regalarmi accompagnato da quella richiesta così passionale e difficile da accettare: “Sposami!”
Due settimane, tanto è passato da quando sono arrivata a Londra per lui. Siamo usciti solo tre sere, giusto per non restare sempre chiusi nell’appartamento a tubare come piccioni. Una volta siamo andati a trovare le ragazze, Tanya e Alice avevano finalmente chiarito i loro dissapori e riuscivano a convivere civilmente, mentre Angela era sempre la solita.
Abbiamo chiacchierato tantissimo, temevo che il giorno dopo le mie corde vocali ne potessero risentire! Le risate non sono mai mancate, anche nel ricordare episodi di quei mesi di convivenza che avevo scordato; di comune accordo, silenzioso, non abbiamo mai affrontato l’argomento incidente-lite e quanto era successo a me ed Edward. Eravamo persone mature, pronte ad affrontare ciò che si sarebbe presentato nel nostro cammino, senza però dover continuamente guardarsi indietro e flagellarsi per gli errori commessi. Avevamo chiesto scusa, avevamo sofferto, avevamo “pagato” le nostre colpe; era tempo di lasciarsi tutto quanto dietro le spalle e continuare la propria vita da questo momento in poi.
Quella sera Alice e Angela ci avevano sorpresi dichiarando di voler continuare la convivenza in quell’appartamento, nonostante a breve avrebbero finito i corsi. Mi parve strano che proprio la seconda rimanesse a Londra, lontano dalla famiglia ma non indagai oltre, avremmo avuto tempo e modo di chiacchierare e aggiornarci anche su quella questione. Stavo pensando di prolungare di qualche settimana la mia permanenza, per poter assistere alla consegna della Laurea delle mie tre coinquiline, così da non dover fare avanti e indietro da un capo all’altro del mondo. Ovviamente la parte più difficile era dirlo e spiegarlo a mio padre, che si era raccomandato più e più volte di tornare a casa, senza ferite possibilmente.
 Aiutai Tanya a sistemare la cucina, mentre Alice ed Angela chiacchieravano sul divano con Edward. Stare con loro mi mancava terribilmente. Il giorno in cui ero atterrata desideravo correre all’appartamento e stringerle forte, nonostante ci sentissimo e ci vedessimo con le videochiamate almeno una o due volte a settimana, era troppo che non ci vedevamo e mi mancavano: loro, l’appartamento e tutta quella quotidianità che avevo fatto mia nei mesi in qui sono stata a Londra.

Flashback

-Tra te e Edward allora va tutto bene? Sicura?
-Si Tanya! Potrebbe andare meglio solo se lui si trasferisse con me a Forks o Seattle o dove sarà. In quel momento potrei davvero pensare di ballare la Samba in bikini davanti a tutti! – la sua risata coinvolge anche me, con le mani a bagno nel lavello per ripulire le cose che non ci sono state in lavastoviglie. Avevo insistito per lavare i piatti, volevo sentirmi parte di quella casa come tempo fa. –E qui le cose come vanno? E bada che intendo veramente, non la facciata che tu e le altre mettete su ogni volta.
-Sapevo che Angy e Alice avevano intenzione di vivere qui anche…anche dopo. Speravo mi chiedessero di rimanere, o che mi facessero capire che ero la benvenuta. Ma a quanto pare non è così…
Sgranai gli occhi a quella confessione, mi girai ad osservarla mentre se ne stava con la schiena appoggiata al bancone, le braccia incrociate sotto il seno e lo sguardo al pavimento.
-Tanya, ma cosa dici? Le ragazze ti vogliono qui…! Perché non gliene hai parlato? – scrolla le spalle, facendola sembrare più tenera che mai.
-Ho litigato con mia madre. In questo periodo tra me ed Angela non so chi abbia sparato e ricevuto più colpi dalla propria famiglia. Non so se sia il profondo momento di crisi che i miei genitori stanno vivendo ma non voglio tornare a casa. Vorrei che Alice mi chiedesse di rimanere…in fondo abbiamo sempre avuto la privacy di cui avevamo bisogno qui, no? Poi quando verrà il momento di muovere i primi passi da sola, o con un uomo al mio fianco, allora lascerei l’appartamento. Tu cosa ne pensi?
-Penso che tu debba parlare con Alice ed Angela, ora, stasera e mettere in chiaro ogni cosa. Sono sicura che aspettavano solo che fossi tu a chiederlo!

Flashback

Aver visto la mia ex coinquilina in quelle condizioni mi aveva stretto lo stomaco forte, tanto da portarmi delle lacrime agli occhi. Così debole, così tenera e affranta non l’avevo mai vista e mi dispiaceva non essere lì e fare parte della loro vita. Quando rientrammo a casa, quella sera, avevo raccontato la conversazione a Edward che mi aveva stretto tra le sue braccia sul letto matrimoniale, dopo esserci abbandonati alla passione.
“Ti mancano” aveva detto e io avevo semplicemente annuito. “Non le perderai piccola, anche se sarete sempre lontane, troverete il modo per vedervi, sentirvi, fare parte della vita una dell’altra. Avete legato tantissimo e sono sicuro che il tempo mi darà ragione!”
Mi ero addormentata rassicurata dal suo tono calmo e dalle parole dolci e avvolgenti che aveva usato, sapevo che ci credeva realmente ed io mi fidavo di lui.
La seconda volta che abbiamo lasciato l’appartamento è stato per andare a trovare James. Neanche a dirlo sembrava la persona più felice del mondo. Si vedeva lontano un miglio quanto, il rapporto tra lui ed Edward, fosse forte perché nonostante i periodi passati, le liti e le discussioni, erano ancora qui a condividere la routine o i momenti speciali.
La serata era passata in allegria, qualche birra di troppo, battute leggere e alcune pesanti ma sempre in amicizia. Mi sentivo felice e serena, avere James nel pacchetto delle mie amicizie era importantissimo per me; mi aveva aiutata, supportata, mi aveva aperto gli occhi certe volte e ascoltata, in più era il compagno perfetto per Seth e già questo mi riempiva il cuore.
La terza uscita è stata una cena a casa Cullen. L’abbraccio in cui Esme mi aveva racchiusa nel momento in cui mi aveva vista oltre la soglia era qualcosa di indescrivibile. Mi era mancata anche lei. Quella serata era stata più strana delle altre due, probabilmente per le persone con cui condividevamo il tavolo, Edward era a suo agio, ovviamente, mentre io mi chiedevo sempre cosa pensassero di me i suoi genitori. Potevo anche non essere la loro persona preferita dato tutto quello che era successo, tutto il dolore che avevo fatto passare a loro figlio. Usciti da quella casa però, non mi sono sentita pesante o afflitta dai sensi di colpa o additata come quella che aveva lasciato; avevo il cuore leggero e un bel sorriso sul volto. Erano stati gentili, sorridenti, amorevoli; non avevano fatto domande inopportune, probabilmente Edward o Rosalie li avevano già messi al corrente di ciò che stava succedendo. Tornati a casa, sotto un leggero lenzuolo sui nostri corpi nudi, Edward aveva intrecciato le mie dita con le sue, accarezzandomi la pancia dolcemente, mentre l’altro braccio era sotto la mia testa.
“Sposami” aveva ribadito. Ridacchiai e scossi la testa, non era possibile che continuasse con quella richiesta assurda e prematura. Non aveva ancora capito che non potevamo in alcun modo mettere delle basi in quel momento?! Lui era ancora a Londra, chissà per quanto tempo ci sarebbe rimasto; io ero a Forks e il mio lavoro iniziava a settembre a Seattle. Non potevamo pensare di sposarci, e dove poi? Cosa ne avremmo fatto di due anelli d’oro, benedetti dal Signore, se stavamo in due poli opposti del mondo?
“Sposami” ripeté. Mi sembrava un disco rotto certe volte.
“Edward, piantala!”
“Sposami”
“Buonanotte!” ridacchiai scuotendo la testa e chiusi gli occhi. Ero già con un piede nel mondo dei sogni quando sentii un sussurro nell’orecchio.
“Sei tutto ciò che voglio, sposami!”
Avevo ignorato la sua richiesta, ma quelle parole mi avevano riempito il cuore di una gioia infinita. Lui ci credeva davvero, insisteva così tanto perché era ciò che davvero voleva, ciò di cui aveva bisogno: mettere delle basi, delle certezze. Potevo capirlo, oh se potevo!
La mia vita richiedeva delle solide fondamenta da anni eppure io non mi sono mai preoccupata di buttare cemento e mattoni per poter reggere tutto il resto.

----- ---------- --------

Quando mi svegliai quella mattina incontrai la cornice elettronica che avevo regalato ad Edward per Natale. Le foto che avevo scelto per lui si susseguivano lentamente, accompagnando il mio risveglio con dolcezza. La sera precedente avevo chiamato mio padre spiegandogli del mio ritorno posticipato, aveva brontolato nei suoi soliti suoni incomprensibili, ma aveva ascoltato le mie motivazioni fino alla fine per poi darmi la sua approvazione. Nei mesi in cui ero stata a casa, sotto il suo stesso tetto, protetta dal suo amore sconfinato ero riuscita a recuperare un po’ di quei momenti che, stando a Londra, avevo perso. Non volevo perderne altri, l’affetto che provavo per lui superava ogni cosa, anche i miei desideri più forti; Londra non era più un opzione, Seattle sarebbe stata casa mia, raggiungibile in auto con quasi tre ore di viaggio, ma abbastanza vicini per poterci vedere ogni fine settimana. Restare in quella città per altre due settimane, però, era tutto ciò che volevo per il momento: partecipare alla consegna della Laurea alle mie tre amiche, festeggiare con loro e soprattutto avere altri momenti con Edward.
Mi alzai dal letto certa di trovare la colazione pronta sul tavolo, con tanto di biglietto del buongiorno. Era una routine che aveva iniziato fin dal mio primo giorno di permanenza in quella casa ed era talmente romantico e dolce che non volevo privarmene. Quando arrivai in cucina però, trovai un piatto colmo di pancakes a fianco una bottiglia di sciroppo d’acero, della frutta e una ciotolina con delle gocce di cioccolato. Il caffè come al solito pronto da azionare, la mia tazza preferita in bella mostra ed un fiore. Una margheritona bianca con qualche sfumatura rosa. Non sembrava neppure reale dalla perfezione dei petali e dalla delicatezza che traspariva. Sotto il fiore un biglietto.

“Sposami. Sposami. Sposami. Sposami. Sposami. Sposami.
Ps: Buongiorno amore.”

Avevo riso per dieci minuti, senza accorgermi che il viso era inondato di lacrime.
Quell’uomo era tutto scemo!
Mi ero goduta la colazione sorridente e felice, una strana allegria in corpo e la voglia di farlo impazzire tanto quanto lui stava facendo ammattire me. Avevo preparato un leggero sandwich per pranzo e avevo fatto la brava donna di casa, stirando le camice che avevamo lavato e facendo una lavatrice con i panni sporchi. Sembrava davvero di vivere insieme e quando quel pensiero passò per la mia testa mi immobilizzai con il ferro da stiro in mano. Era…pazzesco. Adesso mi perseguitava anche nella testa! Preparai una quiche con prosciutto, formaggio e verdure e la lasciai cuocere in forno e poi mi dedicai a me stessa.
Mi concessi un lungo bagno con il bagno schiuma all’olio di Argan che avevo comprato al supermercato in quei giorni, usai il mio solito shampoo fruttato che lo faceva impazzire e mi curai minuziosamente.
Indossai il completino bluette di pizzo che non aveva ancora visto, un abitino a metà coscia color porpora e lasciai i capelli cadere sulle spalle. Niente trucco, nessun profumo né tacchi pericolosamente alti, preferisco i piedi nudi e credo che per lui sia la stessa cosa.
Quando sento il rumore della chiave che gira nella toppa della serratura sorrido e mi incoraggio internamente. “Che si aprano le danze!” dico a me stessa sorridendo maliziosamente. Ero decisa a farlo impazzire da subito, sicura che avrebbe faticato a resistere per tutta la durata della cena e per il film che avevo intenzione di guardare. Volevo giocare, e farlo impazzire come lui stava facendo con me era una dolce vendetta. Gli avrei sorriso maliziosamente, avrei fatto in modo che le mie gambe si scoprissero più del dovuto, la scollatura poi faceva tutto da sola! Piccoli sfioramenti, timbro di voce suadente e la lingua che usciva fuori a raccogliere piccole goccioline di acqua dalla mia bocca…avevo pianificato tutto e mi sentivo su di giri per il gioco che avevo creato, certa che alla fine mi sarei divertita ancora di più quando avrebbe perso il controllo!
Preparo le tovagliette e i piatti sull’isola osservandolo con la coda dell’occhio mentre lascia le scarpe in entrata e appoggia la borsa e le chiavi sul mobiletto. Mi faccio trovare impegnata quando entra in cucina.
-Bimba…sei splendida! – si avvicina per darmi un bacio e sento la sua lingua accarezzarmi le labbra da subito, ma questa volta facciamo a modo mio, tesoro! Mi stacco velocemente afferrando le presine e tirando fuori la pirofila con la nostra cena.
-Bentornato, spero tu abbia fame! – annuisce mentre si lava le mani e mi sembra così dannatamente naturale servirgli una fetta nel piatto che pare un gesto consolidato nel tempo. Io e lui, due sgabelli affiancati, né radio né televisione accesa e la possibilità di raccontarci della nostra giornata. E’ questa la vita che voglio?
Desidero così il mio futuro? Sentirmi serena quando lui varca la porta di casa, osservarlo mentre si spoglia e mi raggiunge in cucina, assimilare e godere dei piccoli gesti che compongono la nostra routine. E’ ciò che desidero?
Si.
Mi sento sicura, amata, profondamente in sintonia con l’uomo che è seduto al mio fianco, mi sento completa e mi sento serena. Condividere dei semplici momenti come un pasto, essere sicura di esserci quando torna a casa dal lavoro, sapere di preparare la cena per il mio uomo, per i miei figli. Se mi guardo fra dieci anni immagino una casa tutta nostra, due lavori dignitosi e che ci soddisfano, dei bambini e le fedi al dito.
Si.
E’ ciò che voglio.
Come ho fatto a rendermene conto ora e soltanto ora?
Tutte le immagini della mia testa mi rimandavano a una casa e noi due insieme, dei bambini è vero, sognavo ma forse lo facevo ancora con gli occhi chiusi, senza vedere che attorno a me stavo già costruendo tutto questo. Improvvisamente mi sentii a disagio, ancora enormemente felice, ma con un peso sul cuore che non voleva andarsene neanche con le cannonate.
-Ehi bimba, che succede? – scuoto la testa e prendo una forchettata della mia cena, rendendomi conto solo adesso che è fredda e che la sua porzione nel piatto è già terminata. Devo essermi persa nelle fughe dei miei pensieri più a lungo di quello che credevo. –Sei sicura? Ti vedo strana questa sera…sei in un’altra galassia per caso?!
-No Edward, tutto bene… - lo rassicuro sorridendo –Raccontami la tua giornata! – è quando inizia a parlare che mi ricordo della colazione di quella mattina, della dolcezza delle sue attenzioni, del suo amore e della sua richiesta. Il sorriso che nasce sulla mia faccia è il più grande che posso ricordare.
-Bella? Bella mi stai ascoltando? – scuoto la testa e fisso i miei occhi nei suoi.

-Sposiamoci!

Capitolo 59

Edward Pov.


Ho liberato l’isola in cucina, ho cercato di dare una sistemata al piano come potevo, speravo che non notasse il disastro che la circondava, anche se era impossibile. Se mi avesse avvisato del suo arrivo avrei riordinato, invece ora mi tocca fare la figura del perfetto imbecille che non sa prendersi cura di una casa. Che cretino!
Le due tovagliette, le posate, i bicchieri, i piatti e le bacchette sono pronti, due sgabelli, uno accanto all’altro anche. E’ così bello preparare per due che devo avere un sorriso enorme sul viso, perché mi fa male il muscolo della mandibola. Ma non importa. Lei è qui.
E me ne convinco quando la vedo arrivare scalza, con indosso un paio di pantaloncini che le arrivano a metà coscia e una maglia a maniche lunghe di una taglia più grande, con lo scollo largo che le scende sulla spalla, facendo intravedere la spallina di un reggiseno color verde acqua. I capelli sono raccolti sulla testa, disordinatamente, ed è meravigliosamente semplice e bellissima.
-Sei bellissima…- riesco a dirle avvicinandomi per prenderla tra le braccia. Lei sorride e le sue guance si colorano di rosa acceso, l’effetto dei complimenti che le faccio, nonostante sia passato molto tempo. Mi piego sulla sua bocca, vorrei poterla tenere sempre con me. –Ti amo Bella. – le dico ancora una volta prima di appoggiare le mie labbra sulle sue e schiuderle subito per incontrare la sua lingua. Lei, delicata, si fa strada nella mia bocca, cerca la mia lingua che insieme si inseguono, lottano, mentre le sue mani salgono sulla mia schiena fino alle spalle. Non resisto, non ce la faccio a separarmi da lei ora. Afferro la maglietta e la tiro via, staccando i nostri visi solo per una frazione di secondo. –Ti voglio. – le sussurro tra un bacio e l’altro quando le mie mani incontrano la sua pelle nuda. La stringo a me e lei si inarca per avvicinarsi di più, per far combaciare ogni centimetro del suo corpo con il mio.
Tengo gli occhi chiusi, ma percorro con le dita il suo corpo fino all’elastico dei suoi pantaloncini e li spingo giù, non chiedo il permesso, non chiedo se lei lo vuole o meno, le sue mani che mi graffiano da sotto la maglietta mi dimostrano che non sto facendo nulla di sbagliato. Mi separo da lei per osservarla, per rendermi conto che non è una mia fantasia, che è lei, meravigliosa e reale nella mia cucina, in intimo. E che intimo.
Tra poco scoppio nei pantaloni, ne sono sicuro. Il completo che indossa la avvolge meravigliosamente, questo colore le dona tantissimo sulla pelle chiara.
-Allora, ti piaccio? – dice sorridendomi imbarazzata e spostando il peso da un piede all’altro. Le faccio segno con il dito di girarsi, perché possa ammirarla meglio e nel frattempo mi allontano di un passo. Ho il respiro bloccato. Lei si morde il labbro, con le gote rosse e lentamente si volta verso di me, dandomi le spalle. Il sedere scoperto grazie al perizoma che indossa, abbinato al reggiseno, è un colpo al cuore e non solo. Alzo gli occhi sulla sua schiena, i capelli sono ancora raccolti e mi permettono di vedere il tatuaggio sulla spalla. Quel cuore che sta cadendo dove c’è incisa la mia iniziale. Mi tolgo la maglia e lascio cadere i pantaloni della tuta, avvicinandomi e inglobandola tra le mie braccia.
-Vieni… andiamo in camera! – le dico appoggiando le mie labbra sulle spalle scoperte.
-Non avevi detto che volevi provare tutte le superfici del tuo appartamento?! – mi dice sorridendo mentre con una mano stringe il mio sedere. Mi abbandono contro di lei sospirando.
-Sto cercando di non saltarti addosso come un animale, per favore non tentarmi!
-Io non mi lamento mica, il tuo lato animalesco certe volte mi piace… - me l’ha chiesto lei, continuo a ripetermi, mentre le slaccio il reggiseno e lo lascio cadere di fronte ai suoi piedi e poi scendo a toglierle l’ultimo pezzo di intimo che la ricopre. –Non mi hai risposto prima, ti piaccio? – la sua voce roca e bassa mi spedisce direttamente in paradiso. Le lascio un bacio bagnato sul collo, per poi mordicchiare la sua pelle in più punti. Sto cercando di calmarmi e di pensare a come rispondere per non sembrare una bestia. –L’ho comprato pochi giorni fa, c’era un negozietto che svendeva tutto e ne ho approfittato…ho la valigia colma di completini per te! – mi accorgo che con il pollice infilato nell’elastico dei boxer sta tentando di farli scendere. Mi stacco da lei per aiutarla e nel frattempo lei si gira. Non credo di riuscire a durare più di qualche minuto.
Il suo corpo nudo di fronte a me, la guardo e lei guarda me. Non resisto. Non resisto davvero. Eppure è lei che si avvicina, mi accarezza una guancia e poi scende sul collo, sul petto, sulla pancia, per arrivare infine a racchiudere il mio sesso tra le sue dita e iniziare un movimento lento che mi fa gettare la testa all’indietro dal piacere. Quando aumenta il ritmo sento che verrò come un ragazzino alla prima esperienza se non faccio qualcosa e non voglio venire sulla sua mano, in piedi nella cucina. Voglio essere dentro di lei. Le prendo il polso tra le mie dita e l’allontano da me per poi piegarmi appena e prenderla in braccio con le mie mani sul suo sedere nudo. Le sue gambe si chiudono attorno a me e il suo centro caldo è a contatto con la mia asta che pulsa di desiderio. Cammino fino ad appoggiarla sul tavolo del salone, con il piede sposto la sedia e non mi interessa che sia caduta, continuo a baciarla con una mano sul collo e l’altra ancora ferma sul sedere e il suo bacino che si muove lentamente addosso a me. E’ una tortura.
-Tu non mi piaci Bella, tu mi fai impazzire. Ti desidero, ti voglio, hai un corpo favoloso e mi è mancato stare dentro di te! – riesco a dirle appoggiandola sul tavolo perdendomi con le mani sui suoi seni meravigliosi. Un gemito più roco degli altri arriva direttamente tra le mie gambe rendendomi incontrollabile. Le mie labbra si spostano sul suo collo, scendendo ancora e ancora fino a mordere leggermente i suoi capezzoli guadagnandomi gemiti sempre più alti. La mia lingua la tortura fino a scendere in ginocchio di fronte a lei e leccare la sua intimità; lei sospira e geme, sospira e geme, segue il ritmo della mia bocca su di lei e mi fa impazzire.
-Ti voglio Edward…ti voglio! – è un attimo, sono di nuovo in piedi di fronte a lei, le sue mani scendono tra i nostri corpi guidandomi dentro di sé. Lentamente mi unisco con la mia donna sentendomi su di giri e felice come mai. Frenesia, amore, passione, desiderio. Mentre spingo dentro al suo corpo e le nostre voci roche si mescolano in gemiti e sussurri mi sento finalmente completo. La stringo forte, le sue mani si aggrappano ai miei capelli mentre le nostre bocche sono ancora impegnate a divorarsi. –Più forte Edward, più veloce…
Abbandono la testa sulla sua spalla, mentre con il bacino mi muovo più veloce e mi spingo più forte dentro di lei, ancora e ancora fino a quando le sue pareti si stringono attorno a me e la sua pelle si ricopre di brividi. Mi alzo per guardarla, la testa gettata all’indietro le mani a sostenersi sul tavolo, il seno che segue l’onda delle mie spinte e perdo la cognizione del tempo e dello spazio, tutto sparisce, c’è solo lei che a bocca aperta e occhi chiusi si lascia andare al piacere. E vengo. Mi riverso in lei completamente.
-Cazzo si! Si… oh Bella! Dio mio! – appoggio la fronte sulla sua spalla e la stringo forte. Lei si appoggia meglio contro di me e passa le sue dita tra i miei capelli.
-Mi sei mancato Edward! Ti amo! – il suo bacio sulla testa mi fa rabbrividire, così delicato, così potente. Potente di quell’amore che ci lega e che non se ne andrà mai, ne sono sicuro.
-Ti amo anche io! – la bacio, su tutto il collo, sulla mandibola, gli occhi, il naso, le guance e poi arrivo alle labbra, con piccoli tocchi per poi giocare di nuovo con la sua lingua. Non smetterei mai di baciarla. –Vieni, andiamo a fare una doccia! – cammino portandola in bagno, non esco da lei finché non siamo sotto il getto d’acqua calda. Le sciolgo i capelli e passo le dita in mezzo alle sue ciocche color cioccolato. –Sei bellissima… - le dico sorridendo e lei arrossisce, ancora una volta, per i miei complimenti. Spero che non cambi mai questa cosa, amo vedere le sue guance rosse grazie a me.
Ci insaponiamo a vicenda, le sue mani sul mio corpo e le mie sul suo accendono di nuovo il desiderio, mi contengo con non so quale forza, non so come sia possibile quando il suo corpo nudo mi chiede solo di prendermi cura di lei. Si volta di schiena per permettermi di lavarle i capelli, come ho fatto io poco fa piegandomi in avanti. Quando sciacqua lo shampoo però non si gira e si avvicina a me di spalle, afferrando le mie mani e portandole sui seni.
-Temo che tu abbia saltato qualche parte del mio corpo dove sono ancora tanto bisognosa di attenzioni… - mi sussurra. Amo questa donna. La amo perché è la mia metà, davvero. Non è uno di quei pensieri da sedicenne arrapato, ma da uomo maturo che pensa ad un futuro insieme. Almeno credo.
-Mmm…hai ragione! Serve più attenzione… - una mano continua a stringerle il seno, palpandolo, l’altra scende sotto il suo ombelico, fino al clitoride che aspetta solo le mie dita. –Cristo, sei sempre pronta per me! – sento le sue gambe tremare a contatto con le mie quando porto le mie dita ad accarezzare il fascio di nervi che la farà sciogliere addosso a me in poco tempo. E non voglio aspettare o prendermela con calma o essere dolce, deciso la tengo contro di me per sorreggerla, appoggiando il mio braccio sotto il suo seno e con le dita mi muovo in circolo a ritmo costante e premendo sul piccolo bottoncino tra le sue gambe. I suoi lamenti di piacere sono alti, la sua voce rimbomba nel bagno e mi sento scoppiare di nuovo, la voglio, Dio quanto la voglio! Le sue mani si aggrappano ai miei capelli, per tenersi o per farmi capire quanto le sta piacendo il mio gioco e poi sento le sue gambe tremare di più e il suo corpo irrigidirsi.
-Sì, Edward…sì! Oh..così, sì! Sì! Sì! – la tengo più forte mentre cavalca l’orgasmo e il suo corpo caldo contro il mio, sotto il getto dell’acqua mi fa impazzire. L’appoggio contro il muro della doccia divaricandole leggermente le gambe e portandole il bacino più indietro, verso di me, pronto ad entrare in lei. E lo faccio, con una spinta decisa, aggrappandomi ai suoi fianchi. –Cazzo! – si lascia sfuggire stringendo le dita in un pugno.
-Ti ho fatto male? – le chiedo fermandomi, lei scuote la testa riaprendo il pugno. Forse non si aspettava questa frenesia da parte mia. Mi fa impazzire e non riesco a controllarmi. –Fermami se ti faccio male… ho bisogno di spingere. – le dico appoggiando la testa sulla sua spalla. Lei biascica un debole sì, travolta dalle sensazioni e io mi trovo a spingere una volta e poi due, sempre con maggiore forza. Appoggio una mano al muro, di fianco alla sua mentre con l’altra mi tengo al suo fianco, la stringo e lei geme. Temo di farle male ma lei non mi ferma e io godo nel sentire come il suo sedere si appoggia al mio bacino mentre spingo e la vedo chiudere gli occhi e sospirare di piacere.
-Dio, ho una voglia di te pazzesca! Non riesco a fermarmi, non riesco a ragionare…Cazzo, ci sono quasi…dimmi che sei vicina, dimmi che ci sei, che sei con me! – intreccia le mie dita con le sue e le stringe, poi porta le mie dita sul suo clitoride e le lascia libere.
-Toccami! – mi tengo con una mano appoggiato al muro, con l’altra sono tra le sue gambe, la sua mano sale sul seno mentre l’altra si tiene come può al muro. –Dio sì! – la sua testa abbandonata alla mia spalla, le spinte sempre più forti, le mie dita che si perdono tra le pieghe della sua intimità. Il suo centro caldo si stringe attorno al mio membro, i suoi umori mi travolgono e le scosse del suo piacere innescano il mio orgasmo. Chiamo il suo nome più volte spingendomi più a fondo dentro di lei nelle ultime spinte, come se volessi fondermi insieme.
-Riusciremo mai a mangiare stasera? – mi chiede ridacchiando e trascinandomi in una risata con lei. Finiamo la doccia dopo un’altra mezzora di baci e carezze e finalmente approdiamo in cucina. Lei ha indossato le cose che aveva prima, senza intimo e questa cosa mi manda in estasi. Io avevo seguito il suo esempio e avevo indossato i pantaloni della tuta senza boxer. Gli sgabelli erano stati avvicinati di più, praticamente eravamo incollati, il cibo era stato riscaldato e alla prima forchettata guardai l’orologio compiaciuto. Erano passate le dieci da un bel pezzo.
-Perché hai chiamato James perché ti venisse a prendere? Potevo arrivare io fino all’aeroporto se mi dicevi a che ora arrivavi!
-Si chiama sorpresa, Edward! – ridacchia scuotendo la testa. –Comunque in realtà sono arrivata verso le tre del pomeriggio, mentre tu eri nel pieno del turno! Così mi ero già accordata con James, sono stata dalle ragazze finché aspettavo che tornassi a casa! Poi tra una chiacchiera e l’altra abbiamo perso la cognizione del tempo e quindi era arrivata ora di cena. – intreccio le mie dita alle sue e le lascio un bacio sulla guancia.
-Grazie di essere qui… Avevo davvero bisogno di te, anche se non volevo ammetterlo! – evviva la sincerità. Lei mi accarezza una guancia con la mano libera e poi mi sorride dolcemente.
-Sono dannatamente felice di essere qui Edward! Non ringraziarmi!
-Allora, quanto tempo rimani? – le chiedo portandomi un pezzo di pollo in agrodolce in bocca e gustandolo bene. Finalmente un pasto decente. Lei arrossisce e guarda alle nostre mani unite, perdendo il contatto con i miei occhi. Le lascio il tempo di rispondere, anche se la sua reazione è inaspettata.
-Un mese… - mormora e io temo di non aver sentito. Le stringo forte la mano per farle alzare il volto e il volume della voce, lei mi capisce e schiarendosi la voce ripete le parole di prima. –Un mese Edward, resto un mese!
-Ti amo! – le dico prima di appoggiare le mie labbra sulle sue in un bacio a stampo deciso e forte. –E questa è la notizia migliore che ricevo da mesi! – non so come mai ma sento di avere un sorriso ebete sul volto.
Mi racconta di quando ha deciso di prenotare il volo, di quando l’ha raccontato a Charlie e le sue mille raccomandazioni, tra cui quella di tornare a casa. Siamo stati lì a chiacchierare per un’altra ora abbondante, mentre finivamo lentamente il cibo nei nostri piatti, poi al primo sbadiglio abbiamo deciso di andarcene a letto.
-Io sistemo, tu vai pure a stenderti, sarai stanchissima! – le faccio l’occhiolino, ma non la convinco.
-Ti aiuto, così faremo prima… - speravo che non dovesse guardare dietro le sue spalle e vedere il disastro che c’era, ma non sono mai stato troppo fortunato.
-Potresti sorvolare sul disordine che ti circonda? Per favore? – metto su la faccia più tenera che riesco a fare e lei scoppia a ridere dandomi una leggera spallata e avvicinandosi al lavello.
-Smettila di dire idiozie, uomo, e datti da fare! Prima finiamo, prima andiamo a letto, prima mi terrai stretta tra le braccia!
-Agli ordini! – recupero tutti i piatti e le posate e li porto dentro al lavello con lo sguardo basso, non voglio incontrare i suoi occhi e capire che quello che vede le fa schifo. Temo che possa decidere io sia troppo disordinato e casinista per i suoi standard.
Si destreggia nella mia cucina come se fosse la sua, sciacqua i piatti sotto il rubinetto e li infila nella lavastoviglie. Non so come faccia a farceli stare tutti, probabilmente è una scienza innata nelle donne! Il lavello si libera dopo dieci minuti in cui lei traffica e lavora come un’ape operaia. Si volta e mi sorride dolcemente ma io tolgo subito lo sguardo da lei, imbarazzato. So prendermi cura di una casa, sono anni che vivo da solo, non voglio che pensi il contrario.
-Ehi, che succede?
-Niente, tu intanto vai in camera, io lavo il piano e preparo la spazzatura che domani mattina porterò via!
-Io lavo il piano, tu sistema l’immondizia! – mi accarezza un braccio prima di afferrare spugnetta e disinfettante.
Non so bene quanto tempo ci mettiamo a ripulire la cucina, sistemarla e far partire la lavastoviglie, so solo che quando mi trovo in camera da letto, sotto le coperte con Bella addossata al mio corpo e la sua testa sul mio petto, mi sento finalmente sereno e completo.
-Sono felice che tu mi abbia regalato quel biglietto… - mi dice dopo aver sbadigliato per l’ennesima volta. La mia piccola è distrutta dopo un viaggio del genere e il mio “Benvenuta!” personale. –Non so perché ci abbia messo così tanto ad usarlo, ma non vorrei essere in nessun altro posto ora.
L’abbraccio ancora più forte, come se le nostre pelli potessero fondersi e diventare una cosa sola. Non voglio lasciarla andare, non voglio che scappi via, non voglio perderla. Sono sicurissimo che lei sia tutto ciò che voglio nella vita, ora e per sempre.

-Bella…
-Si?!
-Sposiamoci!

Capitolo 58

Edward Pov.


Pensavo di aver esagerato con quei messaggi, credevo che poi l’imbarazzo ci avrebbe travolto e le nostre conversazioni sarebbero state monosillabiche o talmente veloci da riuscire a salutarci a malapena. Invece c’è stata una svolta sorprendente. Bella era sempre felice, allegra, riusciva a farmi stare bene anche da lontano; mi faceva svagare, mi raccontava cose che le accadevano oppure semplicemente chiacchierava di qualche libro o di qualche desiderio che aveva. La cosa più strabiliante era che iniziava lei le provocazioni alle volte, bastava un’immagine di un nuovo completo intimo acquistato durante lo shopping di quei mesi. Oppure mi scriveva “Sto facendo un bagno rilassante…e ti penso”. Stava diventando sempre più spigliata, più intraprendente, coraggiosa, meno pudica con me e mi faceva impazzire. Era una benedizione. Quei quattro giorni trascorsi dopo il nostro scambio di e-mail è stato il periodo migliore da quando me ne sono andato da Forks.
Avrei tanto voluto che usasse il mio regalo, lo desideravo con tutto il cuore, ma non me la sentivo di chiederglielo. Come potevo? Le avevo promesso che ce l’avremmo fatta ugualmente, anche senza vederci. Le avevo promesso che l’avrei chiamata ogni sera, ogni giorno, che anche se avrei sentito la sua mancanza avrei resistito. Ho fatto tutto ciò che le avevo detto in quell’aeroporto mesi fa, nonostante fosse difficile, anche se a volte guardavo la mia valigia nell’angolo della camera e mi prendeva la voglia di riempirla e volare da lei. Non avevo vacanze disponibili, non potevo lasciare il tirocinio per scappare da lei e volare da una parte all’altra del mondo non mi avrebbe permesso di studiare per gli esami che mi mancavano. Così la sera mi stendevo a letto, il tomo sulle gambe e la foto di lei accanto, sul comodino, leggevo un paragrafo e davo uno sguardo veloce a lei, un paragrafo ed un sorriso alla cornice digitale che mi ha regalato. Mi sentivo infinitamente stupido, ma un po’ meno solo. Ci sono stati momenti di sconforto, momenti in cui la vedevo dall’altra parte dello schermo e mi sarebbe piaciuto accarezzarla, toccarla, baciarla. Ci sono stati attimi in cui il cuore mi faceva male nel non vederla la mattina accanto a me, ma ho resistito. Volevo farcela, volevo essere forte per lei e per noi.
Anche se adesso che aspetto la metro per tornare a casa vorrei solo prendere l’altra linea, quella che potrebbe portarmi direttamente in aeroporto per salire sul primo aereo e volare da lei. E invece afferro il cellulare e compongo un messaggio.

“E’ in questi momenti che mi manchi come l’aria. Sto aspettando la metro e quando arriverò a casa mi sentirò così solo senza di te. Non vedo l’ora di terminare gli studi, il tirocinio.”

Prendo posto, sperando di arrivare a casa il prima possibile, fiondarmi sotto la doccia e stendermi sul divano per un’ora, almeno un’ora di riposo prima di mettermi a studiare. Il telefono vibra e sorrido, già sapendo che sarà lei.

“E dopo cosa farai?”

Non ne avevamo mai parlato seriamente, anche se quando sono stato da lei a Natale mi aveva fatto capire che tornare a Londra sarebbe stato difficile e che avrebbe tanto voluto restare lì. Suo padre poi, nel momento in cui ci ha sentiti affrontare l’argomento per sommi capi, aveva quasi ringhiato a sentire la mia città, comprensibilmente timoroso di veder fuggire la propria bambina ancora una volta. Inoltre ha firmato un contratto di lavoro poco tempo fa, è esaltata e allegra, orgogliosa di sé stessa e piena di vita da quando ha avuto tra le mani quelle carte, venire qui significherebbe ricominciare daccapo e non so quanto la faccia felice. Io dovrei comunque ripartire da zero, farmi un giro, un tirocinio di anni in un ospedale che poi potrebbe assumermi definitivamente…e siccome stare in due città separate e continuare questa vita non ha senso e non è contemplabile, l’unica alternativa è trasferirmi da lei.

“Dopo devo cercarmi assolutamente un lavoro, stipendiato quel minimo da garantirmi un affitto, un’assicurazione, il frigorifero pieno e magari qualche piccola vacanza!”

Svelare le mie carte subito no, grazie! Mi piace giocare un po’, portare la conversazione all’estremo, fin quando lei esasperata mi dice “E ci voleva tanto a dirlo?”
Lo faccio spesso, perché so che lei capisce ciò che voglio dirle, viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda ed è meraviglioso. E quindi sta al gioco, ma poi esplode!

“Ah, allora posso mettere una spunta a tutte queste cose, io ho un lavoro da settembre e non me ne dovrò preoccupare. Viaggiare mi piacerebbe tanto, ma non da sola….”

“Partiamo insieme! Dove vorresti andare?”

 “A parte che al momento non puoi viaggiare, bello! Ti ricordo che sei impegnato…ed io ho voglia di farmi una vacanza, di viaggiare…prendere l’aereo e andare via, almeno per qualche settimana, non serve molto! E tu non puoi, attualmente!”

“A parte che parlavo di futuro, bella! Comunque hai ragione, al momento non posso e sognare mi porta inevitabilmente a farmi male da solo…quindi restiamo con i piedi per terra!”

Parliamo del più e del meno, della sua mattinata, di cosa fa a casa e della piccola Claire che sta crescendo. Argomenti leggeri, anche se vorrei dirle “Ti amo! Sali sul primo aereo che ti porta qui da me, cazzo!”
Una volta a casa mi trascino fino al bagno, lascio gli abiti per terra e mi immergo sotto il getto caldo. Mi rilasso, chiudo gli occhi e cerco di non pensare al lavoro, agli esami, alla tesi che sto scrivendo e alla distanza tra me e Bella. Tornare a casa ogni giorno e trovarla così vuota mi lascia scontento. Ho sempre amato la solitudine, almeno negli ultimi anni; stavo bene nell’avere ogni angolo di casa mia libero, tutto e solo per me. Da quando, però, Isabella è entrata nella mia vita ha scombussolato anche quella parte di me che amava starsene per i fatti propri. Mi piacerebbe avere le sue scarpe all’entrata, due tazze sporche nel lavello la mattina, i suoi biscotti preferiti nella credenza e lo spazzolino di fianco al mio; amerei guardare i miei vestiti accanto ai suoi, nell’armadio, nella lavatrice, nel cesto dei panni sporchi. Ogni tanto mi perdo nelle mie fantasie, immagino di guardare il suo pigiama sotto il cuscino, nell’altra parte di letto; oppure sogno di inciampare negli abiti che ci siamo tolti nel salotto per fare l’amore. Non mi sono mai sentito di parlarne con lei, di dirle delle mie fantasie, di spiegarle che non voglio perdere tempo, che una vita con lei è tutto ciò che desidero ora; non gliel’ho mai detto e avrei dovuto farlo perché odio non dirle le cose. Quando esco dalla doccia mi sento meglio, come se l’acqua avesse spazzato via anche parte dei miei problemi, dei miei dubbi e del mio senso di solitudine, anche se so bene che una volta raggiunto il mio letto, stanotte, ricadrò nell’oblio. Infilo una tuta, afferro il tomo dell’esame che mi aspetta il prossimo mese e raggiungo il divano. Mi stendo e appoggio il libro su di me.

“Pronto per studiare?”

Il suo messaggio mi arriva nel momento in cui le stavo mandando il mio, decido di inviarglielo ugualmente con un sorriso ebete sul volto. E’ capitato più volte che mi anticipasse di qualche secondo, come se avesse una telecamerina o un sensore puntato su di me. E come faccio a non sorridere per questa connessione che c’è tra noi, nonostante le miglia che ci dividono?

“Postazione sul divano, presa! Libro sulle gambe e si parte a studiare. So che rischio di addormentarmi ma sono stanco e ho bisogno di stare comodo…”

“Non ti conviene riposare un po’ prima di ricominciare?”

“No, voglio impegnare la mente…”

“Perché?”

“Perché non vorrei avere questo libro di mezzo, vorrei che ci fossi tu, abbracciarti stretta mentre guardiamo un film qualsiasi alla tv.”

“Ti amo Edward”

“Anche io bimba!”

Ma non faccio in tempo neppure ad aprire la pagina in cui c’è il segnalibro che il citofono suona. Chi diavolo è a quest’ora? Non si rendono conto che disturbano la gente? Io avrei potuto essere a letto dopo la giornata che ho avuto! Dovevo studiare, è vero, ma gli altri mica lo sanno. Speriamo che sia stato solo lo scherzo di un ragazzino.

Resto sdraiato e apro il libro, ma il citofono suona ancora una volta e tocca alzarmi. Quando guardo dalla telecamera e noto che è James. Che ci fa qui? Gli apro senza rispondere e cerco di sistemare lo schifo che ho lasciato sul tavolino ieri sera, prima di aprire la porta di ingresso. Quando suona alla porta mi affretto per aprirgli.
-Ehi, che ci fai qui stasera?
-Sono passato per un saluto! Mi trovavo da queste parti in realtà perché ho finito da poco un appuntamento con un cliente e quindi mi sono fermato. Ti dispiace?
-No figurati… - lo precedo in cucina dove metto a fare del caffè, tanto per avere qualcosa da offrirgli, devo chiamare Rose e chiederle se può fare la spesa al posto mio domani. –Allora, che mi dici di nuovo?
-Sto seguendo a distanza i lavori per la ristrutturazione del palazzo dove instaurerò la sede secondaria della società e mi stanno togliendo il fiato e il sonno. Ci sono sempre problemi, disguidi, colore sbagliato, tende corte e cose del genere. Mi domando perchè assumo capi operai e capi progetto se poi chiamano me comunque!
-Perché tu sei il capo dei vari capi progetto, non è ovvio?! – sghignazziamo mentre afferro due tazze e servo il caffè.
-Tu invece? Non ti fai più vedere in giro da settimane! Sempre a casa o in ospedale! –sbuffo, perché ha dannatamente ragione. Vorrei avere anche io più tempo da dedicare agli amici, alla pulizia di casa, alla spesa, alle piccole cose di tutti i giorni!
-E’ un periodo così pieno che non so neppure dove sbattere la testa! – lui si guarda attorno, forse nota il caos in cui regna la cucina e annuisce. Purtroppo non ho avuto tempo di sistemare tutto, i piatti che ho usato sono nel lavello, hanno formato una pila impossibile da gestire in pochi minuti di tempo, bicchieri ovunque, e il secchio dell’immondizia colmo di roba. –Vado in ospedale, quando torno sono distrutto, faccio una doccia e mi metto a studiare, mangio un sandwich al volo o una di quelle vaschette di cibo precotto che mia madre odia con tutta sé stessa! Poi il più delle volte mi addormento sul libro e non ho tempo di sistemare tutto… Davvero! Sarei passato al locale se avessi avuto un buco libero! – per fortuna non mi fa la predica su come gestire la mia vita, come farebbe invece Rose o mia madre, per quello è il mio migliore amico, perché sa quando cambiare discorso e quando starsene zitto.

Mi racconta, finalmente, che quando a gennaio Seth è venuto a Londra gli ha confessato che si trasferirà a Seattle. Mi ha spiegato che ne hanno parlato a lungo, che hanno deciso come procedere, se andare a vivere insieme subito, se stare separati, se affrettare le cose o meno ma che ancora adesso, nonostante siano passati mesi, non sono giunti a una risposta definitiva. Mi dice che lui avrebbe già comprato la casa o almeno ne avrebbe cercata qualcuna, ma Seth vuole andarci piano. Gli faccio notare che si sta trasferendo a Seattle, non in periferia a Londra, ma nello stato di Washington che sta dall’altra parte del mondo rispetto a noi. Questo non è forse affrettare le cose? E allora mi spiega che Seth ha appena riallacciato i rapporti con Leah e che sta pensando di tornare a casa con lei, almeno per un po’, il tempo per tornare affiatati come una volta e che lui proprio non se la sente di dividerli. James farebbe di tutto per Seth, qualsiasi cosa. Sono sicuro che se il suo compagno gli avesse chiesto di restare a Londra, per il loro bene, lui l’avrebbe fatto nonostante tutte le sofferenze che deve patire qui. Sono sicuro che se gli chiedesse di partire ora, in questo preciso istante, James lascerebbe qualsiasi cosa qui per correre da lui. E’ fatto così, si è innamorato, ama con tutto sé stesso ed è una persona nuova. Da quando sta con Seth è più posato, educato, sempre quell’aria un po’ bizzarra che lo contraddistingue ma…è l’uomo più fedele che conosco, dopo mio padre. Di sicuro il suo compagno può ritenersi in una botte di ferro.
Come sono certo che Seth provi esattamente le stesse cose, anche se forse ha un po’ più paura a lanciarsi, buttarsi…sarà colpa dell’età o della distanza a cui non era pronto. Però li vedo bene insieme. Sono una coppia fantastica e sapere che sono felici, sapere che il mio migliore amico è innamorato ed è contento, mi fa stare bene.
-Tu con Bella? Avete pianificato qualcosa?
-No… - scuoto la testa guardando il mio caffè tra le mani. –Non ho ancora avuto modo di dirle cosa voglio fare né tanto meno lei lo dice a me. E’ frustrante per certi versi perché vorrei sapere cosa desidera, ma allo stesso tempo va bene così. Probabilmente è presto, io sono ancora bloccato qui…lei non vuole tornare! Le ho regalato un biglietto aereo e, in quattro mesi, ancora non l’ha usato. Mi domando cosa la frena…
Me l’ero chiesto tantissime volte, poi mi davo sempre delle risposte precise. Suo padre, il rapporto tra Seth e Leah che doveva ancora solidificarsi, oppure i colloqui di lavoro, anche solo la sua sorellina; tutte motivazioni che uscivano fuori dalla mia testa. Ma chiederle “Perché?” non ne ho mai avuto il coraggio. Non volevo che si sentisse obbligata a partire, però…mi mancava. Mi mancava da morire. Sapevo che sarebbe stato difficile e speravo che con quel regalo trovasse l’input per attraversare ancora una volta l’oceano e tornare da me, un giorno o l’altro.
E dopo tutto questo tempo ancora non l’aveva fatto. Mi dispiaceva, ma potevo capire la situazione e da una parte andava bene anche così. Non volevo obbligarla, non volevo che si sentisse oppressa, se a lei stava bene mantenere le distanze me lo facevo piacere anche a me. Solo, certi giorni, era più difficile di altri.
Sto per aggiungere delle cose quando il suo cellulare squilla. Si alza e si allontana di scatto, senza far domande recepisco poche cose della conversazione.
“Si…Si…D’accordo! Perfetto! Ciao”
-Devo andare! Edward non fare passare mesi prima di farti vedere! Siamo intesi? – annuisco e lo accompagno alla porta quando sto quasi per aprire si ferma di botto e si da una manata sulla fronte. –Che scemo! – dice ad alta voce. –Mi sono dimenticato che ti ho portato un regalo e non te l’ho neppure dato!
Sto per chiedergli di che cosa si tratta e perché il regalo quando il campanello della porta suona. Sono certo che sia Rose che viene a salutarmi per cui apro la porta senza neppure controllare.

La figura oltre la soglia mi blocca il respiro.

Il braccio mi ricade lungo il fianco, gli occhi sgranati e un sorriso ebete sul viso.

-Bella…- sussurro ma sono sicuro che mi ha sentito. Lei sorride dolcemente e piega la testa di lato alzando leggermente le spalle. E’ bellissima. Indossa un leggero trench beige che arriva a metà coscia, con una sciarpetta leggera, un paio di tronchetti alla caviglia ed un jeans stretto a sigaretta. A lato un trolley che le arriva al fianco e la borsa appoggiata sopra.
-Beh, questo sarebbe il mio regalo. Vi lascio ai festeggiamenti! – la risata di James mi riscuote e faccio appena in tempo a vederlo salutare Bella per poi andarsene.
-Posso entrare? – la sua voce! Dio, la sua voce! Sentirla così vicina mi è mancata tantissimo. Mi sposto e le sorrido. Una volta chiusa la porta mi avvicino da dietro e infilo le braccia attorno alla sua vita, piegandomi  per lasciarle un bacio sulla guancia.
-Non ci credo che sei qui…Dio che bello! – lei ridacchia e poi si gira tra le mie braccia. I miei occhi sono nei suoi, le fronti si toccano, le labbra si incurvano in due sorrisi meravigliosi. –Ti prego dimmi che sei reale!
-Certo che sono reale Edward!- ride forte e il cuore mi batte furioso nel petto. E’ tra le mie braccia! In un attimo appoggio le mie labbra sulle sue, morbide e fruttate grazie al solito lucida labbra. E’ la sua lingua che cerca la mia, che spinge per farmi aprire le labbra; è sempre lei che si insinua dentro la mia bocca e inizia la guerra con la mia lingua. Mi sento su di giri e in quel momento anche quella misera distanza tra i nostri corpi è tanta. La prendo in braccio e le sue gambe si stringono automaticamente attorno al mio bacino. Mi muovo come posso, fino ad arrivare al divano dove mi siedo portandola sopra di me. Le sciolgo la sciarpa e le tolgo il trench, tutto senza mai lasciare le sue labbra. Le sue mani invece sono nei miei capelli, li tira, graffia, ci passa le dita attraverso, è un rituale che mi è mancato tantissimo in questi mesi.
Quando ci stacchiamo entrambi abbiamo il fiatone e restiamo con le fronti appoggiate una all’altra per riprenderci. Occhi negli occhi. Dita intrecciate.
-Sei bellissima. E sei qui. Dio, quanto ti amo! – le lascio un bacio a stampo premendo forte e lei sorride.
-Mi mancavi Edward, mi mancavi tanto… - la bacio ancora, ed ancora, ed ancora, finché mi ritrovo con le mani sotto la sua maglietta ad accarezzare la sua pelle nuda. Si ricopre di brividi quando arrivo alla chiusura del reggiseno e scommetto che può percepire benissimo la presenza del mio amico ai piani bassi.
-Devo calmarmi. Devo calmarmi. Devo calmarmi! – scoppia a ridere e scuote la testa scendendo dalle mie gambe.
-Abbiamo tempo. Ora scommetto che non hai cenato, vero?
-In realtà non ho neppure fame al momento! Torna qui, per favore! – lei scuote la testa e raggiunge la sua roba ancora all’entrata.
-Ti ho preso delle cose, ti conosco e sapevo che ti saresti accontentato del solito panino con quello che ti permetteva la credenza. Così prima di venire qui ho preso del cibo cinese! – al suono di quelle parole mi borbotta già lo stomaco. Sì, mi conosce proprio bene.
La raggiungo mentre afferra i manici di una busta di plastica e li estrae dall’impugnatura della valigia, ecco perché non avevo notato il cibo prima. La abbraccio da dietro, questa volta il suo collo è libero e posso immergermi.
-Ti amo, ti amo! Non puoi immaginare quanto! Grazie di essere qui… - la stringo forte e lei mi abbraccia come può, intrecciando le dita a quelle di una mia mano mentre le altre vanno ai miei capelli. Il cibo già dimenticato. Le lascio numerosi baci sul collo per poi arrivare alle labbra in un bacio ricambiato con dolcezza. –Cosa ne dici se ti cambi e mi raggiungi in cucina? Io intanto preparo per due…
-In realtà non vorrei disfare la valigia…dopo devo andare dalle ragazze e non vorrei lasciare cose qui e cose lì…insomma ho paura di perdere qualcosa. – la guardo e cerco di capire cosa sta dicendo. Cosa ha detto? Penso di non aver capito. Dopo andrà dalle ragazze? Dopo quando?
Ci deve essere un problema di fondo…perché non ho capito cosa ha detto. La guardo per cercare di capire cosa ha detto, come se fissarla potesse darmi qualche spiegazione in più. Pensavo dormisse qui, l’ho dato per scontato. E’ casa mia, siamo stati lontani mesi, abbiamo tanto tempo da recuperare e…non la voglio lontana per nulla al mondo. Voglio vederla nel mio letto la mattina quando mi sveglio, voglio tenerla stretta, voglio che si riappropri della sua parte di letto. La voglio qui, nel mio appartamento. Da nessun’altra parte.
-Scusa…puoi ripetere?
-Ho detto che dopo vado dalle ragazze e…
-No, alt. Stop. Dove vai tu?
-Dalle ragazze, ho ancora la mia camera, me l’hanno detto un paio di giorni fa…
-Tu non hai capito! Se pensi che ti lasci uscire da quella porta ti sbagli di grosso, soprattutto se pensi che ti farei dormire in un altro posto che non sia il mio letto. – la guardo mentre si morde il labbro e sul volto appare un sorriso, sono pronto a dirle che non deve pensare più una cosa del genere quando scoppia a ridermi in faccia. La osservo e si piega proprio per quanto è sconvolta da qualcosa che, evidentemente, la diverte tanto.
-Oddio, lo sapevo! Dovevo prendermi una telecamera! – si ricompone e mi fa l’occhiolino. –Scherzavo Edward, non dormirei in nessun altro letto che non sia il tuo, questa notte e tutte le altre notti che starò a Londra! – si avvicina e mi bacia piano prima di spostarsi in velocità e passarmi la busta con il cibo.
-Che simpatica! – le dico ironico e ottengo una linguaccia in risposta. –Dovrei punirti e lasciarti andare davvero a casa delle ragazze, così vediamo poi che succede! – lei mi sorride maliziosamente e scuoto la testa, sa già dove voglio arrivare. –Ma mi sei mancata troppo! Fai come fossi a casa tua! – le stringo la mano prima di dirigermi in cucina e guardarla portare la valigia in camera da letto. Dio, è qui e la sua valigia sarà nella mia camera, lo spazzolino nel mio bagno e dormirà con me tutta la notte, tutte le notti. La stanchezza ora è sparita completamente!

 

mercoledì 28 gennaio 2015

Capitolo 57




Bella Pov.


Da quel giorno in aeroporto sono passati tre mesi e dieci giorni.
Seth è andato a Londra a trovare James, grazie al biglietto regalatogli a Natale. Era così contento quando è tornato che doveva essere per forza successo qualcosa di bello, qualcosa di molto bello. In cuor mio speravo che James gli avesse confessato la sua voglia di venire a Seattle, di restare con lui qui, definitivamente. Il mio fratellastro però non si è sbottonato troppo sulla questione. Ha preferito raccontarci a grandi linee come aveva passato quei giorni, senza entrare nei dettagli. Dire che morivo dalla curiosità era un eufemismo.
Avevo chiesto spiegazioni a Edward in una delle tante videochiamate, per lui notturne per me pomeridiane, ma anche lui brancolava nel buio.
Ebbene sì, con Edward le cose procedevano a meraviglia. Il suo tirocinio prevedeva settimane tranquille, settimane frenetiche, settimane in cui il lavoro era infinito e tornava a casa con ore di ritardo, giorni in cui c’era quasi calma piatta e riusciva a rilassarsi e recuperare un po’ di sonno perduto.
Aveva mantenuto la sua promessa, nonostante tutto. Quando aveva un momento libero mi chiamava, era sempre sorridente anche se capivo dai suoi occhi quando era stanco, arrabbiato o quando era semplicemente triste. Avevo imparato, stando con lui, che anche gli uomini a volte erano malinconici per gli stessi motivi per cui lo eravamo noi femminucce. Quando la prima volta mi aveva guardato e, allungando una mano sullo schermo come se potesse accarezzarmi davvero, mi aveva detto “Mi manchi piccola” mi ero completamente sciolta e avrei tanto voluto usare il biglietto che mi aveva regalato.
E invece mi sono commossa, gli ho sorriso e gli ho risposto che anche lui mi mancava, ma che avevo trovato la sua camicia nell’armadio. Lui aveva ridacchiato e mi sono fatta raccontare di come era riuscito a nasconderla così bene.
Ogni giorno poi scoprivo un biglietto, un pacchettino, piccoli regalini, come se avesse pensato per me una caccia al tesoro. Ad ogni ritrovamento sorridevo e mi commuovevo. Era stato così attento e premuroso, così dannatamente romantico che non lo dissi a nessuno, volevo che restasse una cosa solo mia, per paura che rovinassero l’atmosfera e la favola in cui ero caduta.
C’erano stati momenti difficili, quelli in cui mi veniva da piangere e mi trovavo a stringere la sua camicia tutta la notte, bagnandola con le lacrime malinconiche. C’erano stati momenti in cui mi arrabbiavo con me stessa per aver scelto di restare a Forks e non essere partita con lui. Poi guardavo Claire, Sue, mio padre…mi guardavo attorno e mi accorgevo che tutte queste cose a Londra mi erano mancate fino all’osso, che ero stata già troppo tempo lontana da casa, per troppi motivi e quello era il momento giusto per essere in famiglia.
Pochi giorni prima di San Valentino una scuola di Seattle, a cui avevo mandato un curriculum, mi ha chiamata per un colloquio. Pensavo fosse il solito buco nell’acqua, il solito “le faremo sapere” che poi cade irrimediabilmente nel dimenticatoio. Invece no. Il giorno dopo mi hanno contattata per prendere appuntamento e firmare un contratto di tre anni, avrei insegnato in un liceo a partire da quel Settembre.
Ero contenta. Felice. Realizzata.
Avevo chiamato le ragazze, Tanya aveva fatto una delle sue solite battutine, Alice e Angela invece erano la felicità in persona. Mi mancavano. Quelle tre pazze, amiche completamente fuori di testa, coinquiline meravigliose…avevano riempito il mio cuore per molto tempo e ancora adesso ne occupavano buona parte. Abbiamo concluso la nostra videochiamata un’ora e mezza dopo, nonostante i nostri rapporti non si siano mai raffreddati, nonostante continuiamo a mantenerci in contatto e chiamarci tre volte alla settimana, abbiamo sempre qualcosa di cui chiacchierare. Dopo di loro è stata la volta di Edward. Era così entusiasta per me che mi sono commossa.
Quando ami qualcuno, anche se è a distanza di miglia e miglia, non ti importa che continuerà a essere distante; la cosa davvero essenziale è saperlo felice e orgoglioso di sé stesso. Mi ha ripetuto mille volte quanto fosse orgoglioso di me, ed anche se a volte non lo diceva a parole i suoi gesti, i suoi occhi, il suo sorriso e la passione nel parlare ne erano un chiaro segno.
Tante volte in queste settimane mi sono trovata a fantasticare o a ricordare. I momenti in cui tornavo indietro nel tempo erano quelli più dolorosi. Chissà perché, solitamente, quando guardi indietro riesci a vedere solo le cose negative e con molta difficoltà riemergono quegli istanti belli e romantici. E’ quello che mi è accaduto ancora una volta. Tornare indietro nel tempo, pensare alle liti, pensare al periodo subito dopo alla sua vittoria, quando il successo aveva cambiato la sua vita e la nostra relazione appena nata. Adesso, con il senno di poi, mi rendo conto di quanto eravamo impreparati ad accogliere una rivoluzione così, nelle nostre vite. Solo dopo tutto questo tempo mi accorgo di quanto sia stata stupida nel tentare di salvare qualcosa che a quel tempo non era fatto per noi. Non eravamo adatti a vivere quel momento, non eravamo pronti. La nostra storia era costruita su fondamenta troppo instabili, per quanto avessimo aspettato, per quanto avessimo fatto tutto con calma…Non potevamo reggere il peso del successo, delle feste sfarzose, della gente arrogante, arrivista e dei mille impegni che ci dividevano.
Ogni volta che pensavo a quei giorni, a quelle settimane, era inevitabile accarezzarmi le braccia o toccare la gamba all’altezza di quelle cicatrici che mi avrebbero accompagnata nel tempo. Lo facevo senza rendermene conto, erano gesti automatici. Quelli erano i miei segni sulla pelle più dolorosi, più dei tatuaggi, più delle ferite da bambina. Quella parte di me sarebbe sempre rimasta lì a ricordarmi gli errori che sono stati fatti in passato e che non devono essere ripetuti; errori che ci potevano costare la vita ad un certo punto…ma che ci hanno insegnato quanto siamo importanti l’uno per l’altra, alla fine.
Mi stringevo addosso la sua camicia o tra le mani qualcosa che mi aveva lasciato qui in camera, e quando sentivo le lacrime arrivare le scacciavo, pensando che anche se eravamo lontani, ora come allora, non era la stessa cosa. Non dicevo nulla a Edward per non farlo preoccupare, per non fargli credere che fossi debole, per non rischiare di sentire di nuovo le sue scuse. Non ne avevo bisogno.
Ma non gli raccontavo neppure delle mie fantasie, dei momenti in cui pensavo alla casa, l’appartamento dove potevamo vivere insieme, o ad un cane da accudire. Immaginavo di scegliere insieme i soprammobili, le lenzuola per il nostro letto, il sapone per le mani e tutte quelle cose dal sapore di quotidianità.
A volte, mentre Leah e Jake parlavano o quando non ero la diretta destinataria del discorso, mi isolavo e immaginavo di avere Edward al mio fianco, di passeggiare per qualche via finito l’orario di lavoro o di preparare il pranzo alla domenica per le nostre famiglie. Sognavo ad occhi aperti e mi ritrovavo a sorridere.
Poi tornavo con i piedi per terra, con quattro paia di occhi rivolti verso di me, curiosi e in attesa.
-Parlavate con me? – domandai cercando di buttarla sul ridere, cosa che riuscii a fare dato che poi scoppiarono tutti e quattro insieme.
-No, scherzi? Guardavamo solo il tuo viso, devi essere andata da poco dall’estetista…perché sei così rilassata! – dice Leah fermandosi un secondo dal ridere, ma so già che non è finita qui la sua battuta. –Quello…oppure stavi pensando a come stenderai sul letto o sul pavimento Edward quando andrai a trovarlo!
Un altro colpo di risa li coinvolse, anche se io non ci trovavo nulla di così esilarante.
-Allora, quando pensi di usare quel biglietto per Londra? – la domanda si ripete all’infinito. In questi mesi me l’avranno posta mille volte, ed io ho sempre scosso le spalle e glissato sull’argomento. Lo faccio anche questa volta, guadagnandomi un’occhiataccia da Seth.
-Bella…il biglietto te l’ha regalato perché lo utilizzassi…- mi tappo metaforicamente le orecchie e penso ad altro, mentre seguo con il dito le linee del tavolo in legno su cui sono appoggiati i nostri bicchieri. Sempre la stessa cosa. Edward mi ha regalato il biglietto, devo usarlo, non posso far passare altri tre mesi perché allora lui avrebbe finito il tirocinio, magari anche gli esami e sarebbe passato troppo tempo senza vederlo. Ma se i problemi non me li facevo io…perché mai devono farseli loro?
Inoltre, da quando Seth e Leah hanno appianato le loro divergenze, da quando si sono chiariti rimanendo due giorni in casa a parlare di tutto, il mio fratellastro non patteggia più per me. Sta dall’altra parte della barricata insieme agli altri. Jake poi, non ne parliamo! E’ il primo che spinge affinché io parta, perché faccia qualcosa per stare con Edward, per essere sicura di non perderlo. Ma se non me li faccio io i problemi, perché loro?
Il fatto sostanziale in realtà è che le domande me le pongo anche io, i problemi, i dubbi, i fraintendimenti, alimentano un senso di angoscia che tante volte mi prende e non mi lascia respirare bene. In più gli occhi mi si riempiono sempre di lacrime e mi vergogno, mi sento a disagio a mostrarmi così debole davanti a lui. Il più delle volte, quindi, mi capita di lasciarmi andare quando sono da sola, o con Seth, il quale poi fa la gallinaccia di paese e va a raccontare i fatti miei agli altri.
-Lo so come la pensate, l’avete già detto e ridetto, davvero avete ragione. Ma non me la sento di partire adesso, in questo momento Edward ha bisogno di tranquillità e non di me che gironzolo per casa e che richiedo attenzioni… - non volevo dare spiegazioni, ma ero stufa di sentirmi ripetere sempre le stesse cose.
Solo io sapevo come davvero era la situazione a Londra, solo io sapevo come stava Edward e i suoi impegni. Andava tutto bene, certamente, nell’ultima settimana però l’ospedale gli aveva dato più impegni, era stato cambiato di reparto e l’ambiente non gli piaceva come quello precedente, per cui adattarsi era difficile. Spesso si lamentava dei colleghi, delle infermiere…in realtà era qualche settimana che si lamentava di qualsiasi cosa. L’unica persona di cui non si lamentava ero io. I suoi genitori lo invitavano a pranzo e lui andava volentieri, giusto per staccare la spina dal suo appartamento, ma poi quando rientrava non era mai contento. Il livello di stress in lui era così alto da leggersi chiaramente in faccia, anche se non voleva ammetterlo. In più nelle ore libere studiava e a fine febbraio era riuscito a dare un esame davvero tosto per cui si era preparato a lungo. Sapevo che il percorso era ancora lungo, che il tirocinio sarebbe durato fino a Settembre e che dopo la laurea gli spettavano altri tre anni di gavetta prima di vedersi riconosciuto qualche titolo. Lui dice sempre che scegliere di fare il semplice medico, di non specializzarsi, è la via giusta per avere in mano qualcosa nel più breve tempo possibile…io penso sempre che sia una rinuncia che non è da lui. Non ho più cercato di convincerlo a continuare gli studi, ho lasciato che decidesse da sé, anche se nel futuro che immagino spero sempre non si debba pentire di questa scelta.
Proprio per questo periodo di forte stress ho pensato che non è il momento giusto per partire, stabilirmi a casa sua per tutto il tempo che resterò lì e dargli noia quando torna a casa stanco e distrutto. Forse la nostra storia funziona bene proprio perché siamo lontani, perché non c’è motivo di discussione, di litigio. Non si può mandare avanti una storia così all’infinito, lo so già…ma la paura di tornare a Londra e rivivere un brutto momento…mi blocca qui, in questa cittadina.
-Perché…Edward ti ha forse detto che non è il caso che tu parta? Gliene hai parlato? Gli hai chiesto lui cosa ne pensa?
Nel caso partissi, comunque non glielo direi. Preferirei mille volte sorprenderlo e vedere i suoi occhi brillare perché ci sono io, dall’altro lato della porta. Preferirei la gioia del momento, quella vera, pura senza filtri. Anche se…quando ho voluto fargli sorprese in passato, direttamente a casa sua, non è che siano venute esattamente bene.
Potrei provare a chiederglielo…potrei?
Mossa da una strana voglia e frenesia prendo il telefono e apro un foglio bianco per inviargli una mail.


From: bellswan@gmail.com
Object: Cosa ne dici se…
Sono fuori con gli altri e, per l’ennesima volta, mi hanno chiesto come mai il biglietto che mi hai regalato è ancora custodito nel comodino.


Invio e resto in attesa della sua risposta. Da lui sono le prime ore del mattino, so che è già al lavoro da un’ora mentre io sono qui a chiacchierare e far tardi davanti al secondo bicchiere di birra.
Cerco di fare attenzione alla conversazione, che finalmente si è spostata su Jacob e Maggie e la loro voglia di trovare una casetta tutta per loro. Seth ridacchia delle facce dell’altro ragazzo seduto al tavolino, mentre Leah e Maggie chiacchierano di dettagli di mobilia, arredamento vari, che fanno già venire l’orticaria al mio amico. Seth, nonostante abbia fatto pace con sua sorella, preferisce continuare a vivere a casa Swan, giusto per godersi a pieno la nuova sorellina e far disperare me!
Sento la vibrazione del telefono e le mie mani corrono da sole ad aprire la mail in arrivo. 


From: edcullen41@gmail.com
Object: Cosa ne dici se…
E tu cosa hai risposto?


Sorrido e digito in fretta.
“Che non è il momento adatto per partire e venire a trovarti perché sei stressato e rischio di aumentare il sovraccarico……”
L’attenzione non riesco più a focalizzarla sul gruppo e mi perdo ancora, nei miei pensieri, nelle mie fantasie, nei ricordi…Vorrei tanto baciarlo adesso, vorrei che fosse qui, vorrei riuscire a stringerlo forte e inspirare il suo profumo delizioso. Desidero sentire le sue mani sulla pelle, accarezzarmi, toccarmi, farmi venire i brividi da quanto è delizioso il contatto.
Nel momento in cui immagino la sua bocca che scende sul mio seno, la vibrazione mi avvisa della sua risposta e rimango di stucco.
“Ok…”
Rimango sbigottita di fronte a quella parola.
Ok.
Vorrei urlare che “Ok” non è una risposta adatta, che così non fa altro che confermare i miei dubbi e invece avrei bisogno di essere spronata a partire.
Parlagliene, mi hanno detto. Ho provato a intavolare un discorso…capisco che è al lavoro, che probabilmente non può usare il telefono, però mi aspettavo un po’ più di interesse. Anche se avesse risposto più tardi, in un momento libero, andava bene…come ha sempre fatto. E invece….ok.
Lascio il telefono nella borsa, determinata a scoprire di più nella prossima videochiamata.



---- ---- ----


Ho dormito poco e male.
Sono due sere che guardo il soffitto finché gli occhi non si chiudono completamente. Sono due giorni che tento tutti i metodi per dormire, fallendo miseramente. Quando riesco ad addormentarmi fuori già inizia a vedersi una debole luce e mio padre, solitamente, si sta preparando per andare in centrale.
Il motivo?
Edward Cullen!
Poteva essere qualcun altro? No.
Poteva andare tutto bene, sempre bene, infinitamente bene? No.
Dalla sera dell’uscita con Leah e gli altri ci siamo scambiati alcune mail e siamo riusciti a parlare su Skype poco meno di due minuti; giusto il tempo di fare il punto della situazione, dirci che ci amiamo e spegnere. Lo so che probabilmente sono tutte cose che mi metto in testa da sola, ma è come se ci fosse qualcosa di non detto, come se la conversazione dell’altro giorno avesse spezzato qualcosa. Ero decisa a parlarci, ero convinta che avremmo risolto tutto, perché si trattava solo di fraintendimenti alla fine.
Avevo sempre il computer acceso, Skype sempre pronto a qualche telefonata, videochiamata o chattata veloce. Il cellulare aveva sempre la vibrazione e il suono così che potessi sentirlo ovunque. Non volevo perdere l’occasione di parlargli perché stavo facendo qualcosa.
Sapevo che stava lavorando e che nei momenti liberi si buttava a capofitto nei libri, cercavo sempre di tenerlo a mente. Per quello non l’avevo ancora chiamato e esortato a dirmi cosa non andasse. Non volevo che mi rispondesse “Bella, il lavoro mi sta massacrando e non ho tempo neppure per finire la relazione che devo consegnare tra poche settimane” e tutte le altre cose che mi avrebbero fatta sentire una deficiente. Alle volte sembravo infantile ed egoista, avevo il timore di sbagliare e di perderlo, ci eravamo promessi di dirci tutto, di chiarire, ed ora sentivo che c’era qualcosa che lui non mi stava dicendo. Non sapevo come affrontare questa situazione senza sembrare un insensibile che non capisce che è pieno di impegni e che la stanchezza lo massacra.
Stavo aiutando Sue a fare il bucato quando il telefono vibrò segnalandomi una mail.

  
From: edcullen41@gmail.com
Object: Vieni con me?
Ho bisogno di una vacanza, sole, mare, il caldo che mi fa sudare la pelle come un cammello…voglio partire domani e tornare il più tardi possibile. Vieni con me?


Sorrisi a quello strano messaggio, a volte era così sfinito da dire cose senza senso. Pensai ad un viaggio insieme, erano anni che non facevo una vacanza nel vero senso della parola. Il mare, una spiaggia…Certo, c’era sempre La Push, ma non era la stessa cosa. 


From: bellswan@gmail.com
Object: Le tue idee mi piacciono!
Non ricordo neppure più quando è stata la mia ultima vacanza! Accetterei volentieri…e dimmi, dove vorresti andare?


From: edcullen41@gmail.com
Object: Qualunque posto…
Allora è il momento buono per pianificarne una! Partiamo, non importa dove andiamo. Io e te, sole, caldo…una spiaggia intima così che possa spogliarti e fare l’amore con te sulla sabbia… Prenoto i biglietti!


From: bellswan@gmail.com
Object: E spiaggia deserta sia!
La proposta è davvero allettante! Mi piacerebbe anche una casetta sulla spiaggia, una di quelle tipiche, con le tende bianche svolazzanti, i balconi colorati, la sabbia che entra e sporca il pavimento…un cancelletto che si apre direttamente sulla spiaggia e il mare a pochi passi. E voglio un divano di vimini fuori, per fare l’amore con te con il suono delle onde di notte!


Non sapevo come mai aveva voglia di viaggiare così tanto con la fantasia, ma mi piaceva la piega che stava prendendo la nostra conversazione. Mi piaceva sapere di avere un uomo che mi amava, pronto a scappare con me, a condividere con me una vacanza, una casa, una vita. Non ne avevamo veramente parlato ma nei suoi occhi e nei suoi gesti avevo capito che la nostra relazione non si sarebbe fermata qui, saremmo andati avanti, avremmo costruito qualcosa insieme. Per davvero. 


From: edcullen41@gmail.com 
To: bellswan@gmail.com
Object: Non tentarmi…
Bimba, non fare così…o prenoto sul serio!
Mi manchi…Ti amo!


From: bellswan@gmail.com
Object: Non tentare neppure tu!
Come mai hai così tanta voglia di fuggire da lì? Problemi sul lavoro?
Mi manchi tanto anche tu, e ti amo, di più!



Rasentavamo il ridicolo, tanto eravamo romantici certe volte. Ce ne importava qualcosa? Ovviamente no. Di colpo tutte le insicurezze che avevo avuto nei due giorni erano sparite. Mi convinsi che le paranoie di quei giorni restavano tali, lui non mi trattava diversamente, non sembrava arrabbiato con me o deluso da qualcosa, anzi. Probabilmente per colpa del poco tempo a disposizione, per la stanchezza, i problemi sul lavoro, lo studio e tutto quello che lo preoccupava aveva semplicemente poco tempo da dedicarmi. Sapevo che poteva capitare, quando ha preso quell’aereo, subito dopo Natale, ero certa che ci sarebbero stati momenti come questo e la nostra promessa, la mia promessa, serviva proprio ad essere sicura che dall’altra parte nulla era cambiato. Mi aveva detto che mi amava, mi voleva con sé in vacanza e fantasticava di fare l’amore con me. Potevo essere più contenta?
Si, in realtà. Potevo prendere quel biglietto aereo ed utilizzarlo. Potevo raggiungerlo, coccolarlo, farmi prendere tra le sue braccia e dormire accanto a lui di notte.
Potevo farlo.
E lui? Cosa avrebbe fatto in quel caso? 



From: edcullen41@gmail.com
Object: Bisogno di alleviare lo stress!
 Al lavoro non ci sono più alti e bassi, ci sono solo bassi. C’è sempre qualche emergenza, qualcosa da fare, qualche motivo per restare ore in più. Quando arrivo a casa sono distrutto e non ho la forza di mettermi sui libri o davanti al computer. Sto tutto il giorno in piedi e quando mi stendo sul letto faccio fatica ad addormentarmi per il dolore alle gambe. Sono distrutto. Devo riprendere a fare qualche allenamento perché mi sto rammollendo!
E tutto questo alimenta lo stress. Quando ci rivedremo avrò i capelli bianchi.


From: bellswan@gmail.com
Object: Come alleviare lo stress!
Sarai bellissimo lo stesso, anche se avrai i capelli bianchi.
Come potresti fare? Ci sono molti modi per alleviare lo stress…potresti correre, fare a pugni…quello ti riesce bene, magari con Emmett!
Oppure potresti…cucinare! A me rilassa tantissimo mettermi ai fornelli, sbatacchiare un po’ di pentole qua e là!
Potresti stare sotto il getto d’acqua calda per lungo tempo e pensare a cose positive.
Oppure…



Speravo vivamente che stesse al gioco, che continuasse a scherzare con me e che, soprattutto, capisse dove volevo arrivare! Certe volte mi sentivo una sporcacciona…poi pensavo che era troppo tempo che non stavo con lui e i sensi di colpa passavano in un lampo!


From: edcullen41@gmail.com
Object: Oppure…
…se fossi qui….potrei sbatterti su ogni superficie e perdermi dentro di te!


Alla sua risposta mi sentii felice ed eccitata. Tanto eccitata. Mi mancava.
Le sue mani sulla mia pelle, le dita che mi stringevano la carne, l’indice e il pollice che giocavano con i miei capezzoli. Mi mancava la sua lingua birichina che scendeva lungo il mio corpo facendomi rabbrividire. Mi mancavano le sue dita che giocavano dentro di me mentre il suo corpo si stendeva piano sul mio. Mi mancava passare le mani sulla sua schiena, sentire i suoi muscoli sotto la pelle. Mi mancava guardarlo negli occhi nel momento in cui entrava in me. Mi mancava la sensazione di sentirmi completa. Percepivo l’umidità delle mie mutandine e chiusi gli occhi, immaginandolo qui di fianco a me, steso sul mio letto, mentre mi spogliava e mi adorava. 


From: bellswan@gmail.com
Object: Quanto…
…Mi vuoi?


From: edcullen41@gmail.com
Object: Così…
 …Tanto che lascerei tutto quello che ho qui per venire da te.



Era l’unica risposta che mi serviva. Ora sapevo cosa fare.
Continuammo quel gioco per un’altra mezzora. Mentre io organizzavo la mia vita per i giorni seguenti con grande difficoltà. Le mail si erano fatte più profonde, più spinte. Mi descriveva i luoghi dove voleva farlo. Il tavolo da biliardo, il divano del salotto, la doccia, sul tappetino in palestra dopo un finto incontro. Ero frustrata perché volevo disperatamente che fosse qui o che io fossi lì con lui e mettere in atto tutte le meravigliose cose che mi stava descrivendo.

From: edcullen41@gmail.com
Object: Diamoci una calmata…
Ovviamente sono al lavoro, prima sistemavo delle cartelle in ufficio ora è arrivata un’emergenza e devo prepararmi. Bimba mi manchi da morire, organizziamola davvero la vacanza, non vedo l’ora di stare con te. Spero almeno di riuscire a calmarmi o farò fatica a camminare per colpa di tutti questi pensieri su di noi…
Ti amo.


Scoppiai a ridere perché era davvero un pazzo. Mandarmi dei messaggi del genere mentre stava lavorando…folle! Provai ad immaginarlo mentre, chiuso in un ufficio, cercava di distrarsi un po’ e pensare ad altro mentre lavorava, anche solo nella mia mente era bellissimo. Pensai alle sue mani tra i capelli, al sorriso sghembo o lo sguardo malizioso in certi momenti. E mi vennero in mente tutte le parole che mi aveva detto nelle mail precedenti. A quella che mi aveva fatto tremare le gambe e le braccia e gettare la testa indietro pensando di vivere davvero quel momento.

“Voglio prenderti nella doccia. L’acqua che bagna i nostri corpi, la tua pelle morbida e liscia sotto il mio tocco. Voglio inginocchiarmi di fronte a te e sollevare una gamba per poterti leccare, per sentire il tuo sapore, per rendermi conto dell’effetto che ti faccio. Voglio vederti inginocchiata di fronte a me, le mie mani tra i tuoi capelli e perdermi nella tua bocca. Poi ti prenderei in braccio e non ti lascerei più, mi immergerei dentro di te e mi perderei fino a sentire le tue urla, fino a sentire il mio nome urlato nel momento del piacere. Dio quanto ti voglio bimba...”

In quel momento avevo seriamente pensato di togliermi quella frustrazione da sola, di scendere con le mani lungo il mio corpo… Ma non ero sola in casa e dovevo tenere la porta aperta per sentire Claire. L’avrei ucciso in quel momento, mi aveva gettata nello sconforto più totale, eccitata e lontana dalla fonte dei miei desideri. Però lo amavo e mi aveva tolto ogni dubbio dalla testa anzi, mi aveva chiarito cosa dovevo fare, come comportarmi.
Afferrai il portatile e prenotai il volo.
Londra, arrivo.